Jean Painlevé, tra scienza e surrealismo

Nadia Bendinelli
3. novembre 2022
Jean Painlevé, in collaborazione con Eli Lotar, chela d’astice o «Charles de Gaulle», 1929 circa (© Fonds photographiques Bouqueret-Rémy, Paris)

Il titolo «Les pieds dans l’eau», scelto per la mostra, è stato preso da un articolo di Jean Painlevé pubblicato nel 1935 sul periodico Voilà. Descrive le numerose difficoltà tecniche e pratiche incontrate in dieci anni di caccia alle immagini subacquee, ma racconta anche di una grande passione. Una passione nata durante gli studi e approfondita con l’osservazione e la documentazione degli organismi che popolavano i litorali bretoni di allora.

Ma cosa rese questo regista così particolare? Considerato uno dei padri del documentario scientifico, realizzò numerosi film combinando i principi dell’anatomia comparata a riprese inconsuete, in grado di raccontare storie a volte ricche di tensione, dai tratti sorprendenti o semplicemente affascinanti. Nel suo lavoro si riconosce il suo legame con il surrealismo francese, dove contava alcune delle amicizie più strette. Considerato egli stesso un surrealista, utilizzava la dimensione «tra sogno e realtà» tipica di questo movimento per raccontare la verità, ma in modo fantastico, come se fosse uscita da un romanzo alla Jules Verne.

All’inizio degli anni 1920, il biologo e professore Paul Wintrebert incoraggiava i suoi studenti ad approfittare delle ultime scoperte tecnologiche della microscopia, della fotografia e della cinematografia per le ricerche, e a combinare le analisi in laboratorio all’osservazione sul campo – una metodica di cui Painlevé si avvalse durante tutta la sua carriera. I suoi film sono un composto di accurate tecniche innovative e approcci sperimentali. Alternava immagini dell’animale a figura intera alle riprese al microscopio, rallentando o accelerando le sequenze per dare agli spettatori un’immagine inconsueta, in grado di trasmettere la magia del mondo subacqueo.

Jean Painlevé, Hippocampe femelle [cavalluccio marino femmina], 1934–1935 circa (© Les Documents cinématographiques / Archives Jean Painlevé, Paris)
Un cavalluccio marino altamente dibattuto

«L’Hippocampe», uscito nel 1934, diventò il suo film più famoso ed è l’unico ad aver ottenuto anche un successo commerciale. Si tratta del suo progetto più ambizioso, a causa delle numerose difficoltà legate alla realizzazione. Documenta l’accoppiamento e la riproduzione dei cavallucci marini, dove è il maschio – definito così per la sua capacità di produrre spermatozoi – a portare a termine la gestazione. Il documentario pone però anche uno spunto di riflessione sulle «norme» tipiche della sessualità umana e soprattutto sui ruoli di genere, proponendo un modello meno rigido e definito, o una «sessualità fluida» stando agli apprezzamenti dei surrealisti rivolti a questo film. In particolare è il commento al film a incoraggiare una lettura antropomorfica che apre il dibattito sul comportamento umano: «On ne peut s’empêcher de doter de membres ou de pattes cet animal quand on le voit évoluer le corps à la verticale, la tête horizontale, unique évocation d’un bipède donné par un vertébré aquatique.» (Non si può fare a meno di dotare questo animale di arti o zampe quando lo si vede evolvere con il corpo verticale e la testa orizzontale, unica evocazione di un bipede data da un vertebrato acquatico.) Il documentario attirò l’attenzione di vari gruppi d’interesse: c’era chi vi leggeva una rivoluzione surrealista, chi un sostegno al movimento femminista; mentre negli USA si applicò la censura a causa delle scene di accoppiamento considerate oscene.

Jean Painlevé, in collaborazione con Eli Lotar, dettaglio della coda di un gamberetto, 1929 (© Fonds photographiques Bouqueret-Rémy, Paris)
Jean Painlevé, Transition de phase dans les cristaux liquides [Transizione di fase nei cristalli liquidi], 1978 (© Les Documents cinématographiques / Archives Jean Painlevé, Paris)
Henri Manuel, Jean Painlevé nell’«istituto in cantina», senza data (© Les Documents cinématographiques / Archives Jean Painlevé, Paris)
Un’opera poliedrica

Il lavoro di Painlevé rispecchia i suoi numerosi interessi e lascia intuire un ambiente famigliare e sociale stimolante. Nacque a Parigi nel 1902. Suo padre, Paul Painlevé, era un noto matematico e politico francese. Nel 1922, Jean incontrò la sua compagna di vita e di lavoro Geneviève Hamon. La casa della famiglia Hamon diventò il suo primo studio, dove realizzò i primi dieci film sui crostacei marini. Geneviève, dapprima assistente, viene nominata come co-regista a partire dal 1960. Fu lei, dopo il successo ottenuto con «L’Hippocampe», a realizzare gioielli e stoffe stampate con cavallucci marini che si possono ammirare nell’ultimo locale dell’esposizione al Fotomuseum.

Oltre a frequentare vari esponenti del surrealismo francese, Painlevé coopera con numerosi scienziati. Fu in grado di mescolare i due mondi per ricavarne un approccio alla materia scientifica del tutto originale. Anche se agli inizi, nel 1925, era costretto a lavorare con apparecchiature rudimentali, nel corso degli anni adottò le tecniche più innovative, spaziando dai microscopi alle apparecchiature per le riprese e le fotografie, fino allo scafandro, che grazie a nuove invenzioni offriva una maggiore libertà di movimento. La fotografia attraverso il microscopio, una tecnica sviluppata per la medicina, permise a Painlevé di realizzare immagini dal forte valore estetico che, oltre ad approfondire gli aspetti scientifici, lasciavano spazio all’interpretazione individuale, come accade osservando un quadro astratto. Produsse numerosi filmati riservati al mondo scientifico, ma a partire dagli anni 1930 i suoi film vennero impiegati anche a scopi didattici. Erano rivolti al vasto pubblico con l’intenzione di avvicinare le persone alla natura e renderle attente alla fragilità degli ecosistemi, proprio come cercano di fare i documentari odierni.

L’esposizione propone alcuni film e una vasta scelta di fotografie – nei molti anni di attività Painlevé realizzò più di 200 brevi documentari. Rispetto all’esposizione originale allestita al Jeu de Paume a Parigi, l’adattamento concepito per il Fotomuseum di Winterthur ha una sezione in più: un omaggio al lavoro di Geneviève Hamon. Si parte dalle coste bretoni, dove tutto ha avuto inizio, per proseguire con una suddivisione tematica, non cronologica, delle sue opere. Un interessante tuffo nel passato, oltre che nell’acqua, in grado forse di ispirare a seguire approcci di lavoro meno convenzionali a dispetto delle tendenze.

Jean Painlevé. Les pieds dans l’eau

Jean Painlevé. Les pieds dans l’eau
Pia Viewing, James Leo Cahill, Brigitte Berg, Alban Ferreira e Roxane Hamery
Disponibile in francese e in inglese

210 x 280 millimetri
ISBN 9782359063806

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