Fotografia e propaganda nella Germania divisa
Nadia Bendinelli
30. de març 2023
Operaia alla catena di montaggio della Trabant P 60, tra il 1962 e il 1964 (Foto: © August Horch Museum)
La fotografia industriale è una finestra sulle strategie politiche di uno Stato e mostra come un’immagine attentamente costruita serva a promuoverlo – o in questo caso a promuovere due Stati molto diversi tra loro.
Per quale motivo il Deutsches Historisches Museum di Berlino dedica un’esposizione proprio alla fotografia industriale? Questo genere, strettamente legato alla pubblicità, non mostra certo uno sguardo sulla realtà particolarmente sincero. Le fotografie, eseguite su commissione tra il 1949 e il 1990, sono tuttavia un documento storico importante e vennero fortemente strumentalizzate dalle due Germanie, a scopi politici.
Le industrie dell’Est erano di proprietà dello Stato: un collegamento diretto tra queste fotografie e il loro scopo propagandistico è presto fatto. Ma è interessante osservare che all’Ovest capitava la stessa cosa: seppur le attività erano in mano a privati, le immagini trasportavano i valori e gli obiettivi politici del Governo.
A introdurre la mostra, in veste di prologo, troviamo la risorsa energetica che stava alla base dell’industria tedesca e dell’identità nazionale: il carbone. Le immagini scure, con volti sorridenti ricoperti di fuliggine e le immancabili bottiglie di latte, mostrano esattamente ciò che ci si aspetta di vedere. Anche i quattro settori seguenti dedicati ad acciaio, tessili, automobili e all’industria chimica vengono raccontati tramite immagini dal grande valore estetico, ma costrette in stereotipi iconografici. Un connubio armonioso tra uomo e macchina, collegialità e leggerezza. Il fallimento, le difficoltà, i conflitti tra lavoratori e ingegneri o le pessime condizioni di lavoro non sono un soggetto adatto a una buona propaganda.
Minatore, Saarbrücken, 1954 (Foto: Hannes Kilian, © Deutsches Historisches Museum)
Locale per il lavaggio degli indumenti dei minatori, Essen, 1954 circa (Foto: Ludwig Windstosser © Museum für Fotografie)
Grandi promesse, propaganda e fallimentiOgni innovazione era accompagnata da tanta euforia e grandi promesse. La comunicazione, ricca di superlativi, annunciava «rivoluzioni» e un futuro luminoso. Lo Stato pronosticava l’avvento di numerose migliorie e cercava risposte nelle nuove tecnologie.
Le due Germanie, mosse da obiettivi politici diversi, si avvalsero di fatto della stessa idea di partenza: l’automazione avrebbe risolto tutti i loro problemi. La DDR intendeva assicurarsi la vittoria del comunismo e vedeva in questa soluzione un modo per rimediare alla costante mancanza di personale. Le macchine avrebbero preso il posto dei lavoratori, realizzando l’utopia di una società altamente efficiente e dimostrando la supremazia dello Stato. La Repubblica Federale, invece, si immaginava una produzione libera dall’errore umano, quindi più adatta a prosperare. Queste visioni non trovarono molti consensi tra la popolazione: molti, all’Est, non credevano ai valori imposti dalla dittatura, mentre all’Ovest si temeva di perdere il posto di lavoro.
Le speranze di entrambe i governi si rivelarono malriposte: le macchine che, ahiloro, non lavoravano né in completa autonomia, né erano prive di difetti, necessitavano di manutenzione e riparazioni frequenti. L’esempio più eclatante fu la nota Halle 54, aperta da VW nel 1983. Pensata per produrre la Golf II in modo del tutto automatizzato, riuscì in un primo momento a far sembrare vecchie tutte le catene di produzione realizzate fino ad allora – e non solo in Germania. Tuttavia, a causa dei numerosi problemi tecnici, l’attività veniva regolarmente deviata sulla catena di montaggio manuale che, mantenuta in funzione parallelamente, permetteva di ridurre le perdite. La fabbrica chiuse i battenti nel giro di pochi anni.
Le immagini dei lavoratori si diffusero ampiamente non solo grazie alle pubblicazioni commissionate dalle industrie, ma apparirono su francobolli, libri e riviste di vario genere. L’operaio e l’operaia erano l’incarnazione della forza lavoro. Non si trattava di presentare l’individuo: il lavoratore era parte di un organismo, un modo per veicolare l’identità dello Stato e i suoi rispettivi valori. È facile intuire come queste immagini trasportassero idee tradizionali tutt’altro che nuove, suggerendo così l’incapacità della Nazione di essere davvero innovativa.
Agli inizi degli anni Settanta, si cominciò a parlare di deindustrializzazione. Come spesso accade, lo sguardo nazionale era però rivolto solo all’interno di confini ridotti. Di fatto, osservando la situazione a livello globale, le fabbriche cominciarono semplicemente ad affermarsi altrove.
Controllo qualità alla VEB Rohrkombinat Stahl- und Walzwerk Riesa, Riesa, 1982 (Foto: Eugen Nosko © SLUB, Deutsche Fotothek)
Laboratorio della VEB Filmfabrik Wolfen, 1967 (Foto: Wolfgang G. Schröter © SLUB, Deutsche Fotothek)
VEB Baumwollspinnerei Leinefelde, 1965 (Foto: Martin Schmidt © Deutsches Historisches Museum)
Carrozzerie nella fabbrica Volkswagen, 1968 (Foto: fotografo dipendente alla VW © Volkswagen Aktiengesellschaft)
L’immagine dell’operaia e dello stranieroUna delle differenze che emerge osservando le fotografie delle due Germanie, è l’immagine della donna. Il regime comunista era più propenso alla parità. Le operaie venivano rappresentate nella loro efficienza lavorativa, come parte di un organismo sociale perfettamente funzionante. La loro immagine restava però legata a stereotipi femminili e il loro posto nella società era ben definito. Le aspettative della DDR a loro rivolte erano davvero elevate. Dovevano essere (politicamente) istruite – sul posto di lavoro si allestivano spesso delle biblioteche – occuparsi di casa e famiglia, fare sport e naturalmente avere un aspetto curato. Da un punto di vista pragmatico, non era possibile rinunciare al lavoro delle operaie a causa della scarsità di personale. Anche per questo le donne sono molto più presenti sulle fotografie delle industrie dell’Est. Il posto di lavoro veniva loro presentato come un’offerta che andava oltre a un semplice impiego e includeva vari vantaggi sociali necessari alle operaie. In fabbrica si poteva comperare generi alimentari, andare dal medico, partecipare ad attività per il tempo libero. Indurre le madri al lavoro, in una società comunista, offriva un ulteriore vantaggio: lo Stato aveva così la possibilità di educare «correttamente» i bambini, inserendoli nel sistema sin da subito.
All’Ovest si preferiva proporre un’immagine romantica della donna impegnata in casa, che si prende cura della famiglia. Occorre tuttavia ricordare che in entrambe i casi si tratta di immagini pensate per veicolare messaggi politici, cosa accadesse in realtà e quanto le donne tedesche condividessero questi propositi è un altro discorso.
Un’altra differenza sostanziale la si trova nelle fotografie dei lavoratori stranieri. Negli anni Cinquanta e Sessanta in particolare, la Repubblica tedesca si impegnava ad acquisire manodopera straniera per sopperire alla mancanza di personale. Nonostante si parlasse in primo luogo del successo economico delle industrie – dovuto anche alle nuove forze-lavoro – alcuni reportage davano spazio anche ai problemi di integrazione e alla vita di questi operai. L’informazione diffusa nella DDR, invece, era ben lontana dalla realtà. Seppur si sbandierassero valori come l’amicizia tra i popoli e l’uguaglianza, le fotografie che accompagnano questi reportage non mentono. Le espressioni e il linguaggio del corpo di alcune donne di colore, che con tutta evidenza non si sentivano per nulla a proprio agio, raccontano una realtà ben diversa.
Sguardo sulla mostra «Fortschritt als Versprechen. Industriefotografe im geteilten Deutschland» (Foto: David von Becker © Deutsches Historisches Museum)
Un nuovo valore storicoIn generale, l’importanza data alla fotografia industriale non è più la stessa di un tempo. Queste fotografie hanno però assunto un altro tipo di rilevanza: quella storica. Ci permettono di osservare in immagini le speranze, le ideologie e le strategie dei due Stati tedeschi. Raccontano di un’identità studiata, da mostrare all’esterno. Questi scatti illustrano due fronti politici opposti e il loro modo di trasmettere i propri valori tramite una delle maggiori forze agenti allora in Germania: l’industria.
L’esposizione «Fortschritt als Versprechen. Industriefotografie im geteilten Deutschland» si può visitare fino al 29 maggio al Deutsches Historisches Museum di Berlino, ed è accompagnata da un interessante pubblicazione, scritta da storici ed esperti di fotografia.
Fortschritt als Versprechen. Industriefotografie im geteilten Deutschland
Stefanie R Dietzel, Thomas Dupke e Stefanie u a Grebe
Testi in tedesco
ISBN 978-3-7757-5426-2
Hatje Cantz
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