Il Barocco tra luci e ombre
Non tutto ciò che è Barocco luccica! Si potrebbe riassumere così l’epoca protagonista della mostra realizzata al Museo nazionale. Ma c’è di più: oltre a farsi un’idea del contesto storico, in bilico tra sfarzo e miseria, si possono osservare alcune opere quasi mai esposte in Svizzera e una moltitudine di lavori firmati da architetti e artisti di spessore.
Probabilmente la maggior parte delle persone, pensando al Barocco, si immagina lo sfarzo, le chiese o magari lo stravagante abbigliamento dell’epoca, parrucche comprese. Con l’intenzione di raccontare anche i lati oscuri degli anni tra il 1580 e il 1780, il Museo nazionale ha allestito una grande mostra dal titolo «Barocco – Epoca di contrasti». Così, accanto al crescente benessere, le innovazioni e tanta bellezza, trovano posto il colonialismo, la schiavitù, la precarietà e la fame. Forti contrasti si resero evidenti a livello religioso, politico, ma anche nella vita quotidiana. Se da un lato si andava verso la globalizzazione, si assisteva contemporaneamente a frammentazioni, in particolare per motivi religiosi. La parola della Chiesa veniva a sua volta messa in dubbio dalla scienza. Un aumentato interesse per lo studio della natura e di numerose discipline, come l’astronomia o la filosofia, fornì i presupposti per istituire numerose accademie. L’architettura e l’arte venivano abilmente adoperate per sottolineare il prestigio delle rispettive frazioni, poco importa che si trattasse di potere ecclesiastico o monarchia. Anche la moda trasportava idee politiche evidenziando, tra un filo e l’altro, nuove alleanze tra le nazioni.
A fare da cornice all’esposizione troviamo un allestimento grafico – o meglio scenografico. Si passa infatti da una scena all’altra attraversando delle quinte, in questo caso quelle di un palcoscenico svizzero-europeo, su cui si svolgono quattro atti. Il primo racconta il panorama architettonico e lo sviluppo urbano. Si possono osservare progetti chiave realizzati a Roma da architetti ticinesi come Domenico Fontana, Carlo Maderno e Francesco Borromini, compresi alcuni disegni fatti a mano da quest’ultimo. Proprio dai suoi disegni è possibile notare che, al contrario di altri suoi colleghi dell’epoca, Borromini aveva frequentato l’accademia ed era quindi in grado di adoperare la matematica per i suoi progetti. Mentre gli svizzeri di lingua italiana si orientavano a sud, i mesolcinesi conquistavano le regioni al nord della Svizzera, in particolare la Baviera. Nonostante spiccassero nomi come Giovanni Albertalli o Enrico Zuccalli, venivano tendenzialmente considerati come un collettivo. I mesolcinesi erano particolarmente interessanti per i committenti tedeschi: conoscevano le tendenze italiane, allora molto richieste, erano veloci e più economici degli artigiani locali – ma soprattutto più abili. Nacquero però anche delle collaborazioni internazionali: per costruire il complesso abbaziale di San Gallo (1755–1766), ora parte del patrimonio culturale dell’Unesco, collaborarono architetti e artigiani svizzeri, tedeschi e austriaci. Nella mostra si può osservare un grande modello in legno, realizzato pochi anni prima della chiesa stessa.
I giardini, protagonisti del «secondo atto», rendono espliciti gli influssi internazionali. Si guarda con ammirazione a Versailles, riproducendo i jardins francesi in Svizzera. Assieme all’estetica dei parchi, si arricchì anche la nostra tavola grazie alla coltivazione di alcuni tipi di verdura appena importati. Versailles rappresentava il nuovo metro del buon gusto e sorpassò la tendenza italiana.
Parlando di estetica e sfarzo, non è possibile tralasciare la moda e gli interni. Nel «terzo atto» la supremazia francese si impone anche così: arazzi spettacolari – come l’«Histoire du Roi: Entrevue de Philippe IV et Louis XIV» del 1668, esposto alla mostra – vestiti sfarzosi, stoffe pregiate, ma anche porcellane, argenteria e decorazioni per interni di grande valore.
Nel 1663, venne sancito un contratto per assicurare migliaia di soldati mercenari svizzeri alla Francia. L’espansione coloniale e il commercio globale favorirono un ampio scambio di merci, e con merce si intende anche un’enorme quantità di schiavi. La Svizzera era quindi interessata a proteggere i propri interessi, come proprietaria di piantagioni. L’espansione delle reti commerciali favorì però anche una rapida diffusione del sapere. Gli artisti e gli studiosi viaggiavano più spesso e gli strumenti per osservare il mondo in modo diverso, come il microscopio o il telescopio, aprirono nuove strade.
A influenzare l’altalena continua tra progresso e violenza o tra benessere e miseria, concorsero avvenimenti incisivi come la guerra dei 30 anni (1618–1648) che tra le altre cose si occupò di diffondere efficacemente la peste, o la piccola era glaciale (1600–1850 circa) che ridusse fortemente i raccolti e quindi il benessere delle persone comuni. Da non dimenticare: attorno alla metà del 1700 si raggiunsero i massimi livelli della caccia alle streghe.
Forse anche una mostra sul Barocco, per coerenza, ha bisogno di un’ombra. C’è infatti un dettaglio poco comprensibile: all’inizio dell’esposizione si può vedere una bella cartina animata, che illustra la distribuzione delle vie commerciali, delle guerre e delle religioni nell’Europa di quegli anni. Sono indicate le seguenti religioni: cattolica, luterana, riformata, anglicana, greco-ortodossa e musulmana. Manca quella ebraica. Ci auguriamo che nessuno fraintenda.
Chi si occupa di architettura, arte o design, sa che gli elementi barocchi vennero ripresi e riproposti in una nuova attualità nel postmodernismo. A fare da esempio ci pensa un noto lavoro: le tende di vetro realizzate dagli architetti Trix e Robert Haussmann per la Boutique Lanvin di Zurigo (1977), metafora del barocco e nuova interpretazione del trompe-l’œil, hanno il compito di calare il sipario sul palcoscenico di questa grande e bella esposizione.
La mostra rimarrà aperta fino al 15 gennaio 2023. Vale sicuramente una visita attenta, che permetterà di conoscere più da vicino un’epoca influente, nelle sue varie sfaccettature. A chi volesse approfondire l’argomento, il museo propone una serie di podcast in italiano, francese e tedesco con interviste a vari esperti, oltre al catalogo della mostra in lingua tedesca.